TY - CHAP
T1 - Rappresentazioni, rappresentanza, rappresentati: dimensioni etiche e politiche dello sguardo democratico
AU - Monti, Paolo
PY - 2013
Y1 - 2013
N2 - [Ita:]Queste pagine mettono al centro il “teatro pubblico”, in quanto si concentrano non solo – come è consuetudine diffusa in molti dei lavori di filosofica politica contemporanea soprattutto a partire dai fondamentali studi di Habermas – sulla dimensione argomentativa e sullo spazio delle “buone ragioni”, ma anche e soprattutto sulla dimensione più propriamente iconico-rappresentativa della vita pubblica e con ciò proprio sulla sua dimensione teatrale-rappresentativa. L’idea è dunque che le tante critiche a cui è stato ed è sottoposto il concetto di “sfera pubblica” siano da vedere in connessione con l’insufficienza intrinseca di un modello epistemico imperniato sulla validazione normativa che ha troppo presto espunto la questione della “visibilità” pur dovendo fare i conti con uno scenario popolato da narrazioni, leader, slogan e appunto “icone”, ben più di quanto non sia abitato da argomenti e confutazioni. È la questione della rappresentanza a essere fatta esplicitamente giocare con quella della rappresentazione, dell’immagine presentata in particolare (in riferimento all’opera di Szakolczai) lungo il registro del comico e della tematizzazione della sua peculiare performatività pubblica: la performatività-relazionalità dell’immagine si traduce qui nella rappresentazione comica che genera una particolare forma di narrazione sociale, qualificando tanto il rapporto tra soggetti quanto quello tra il singolo soggetto e l’insieme delle rappresentazioni condivise. La correzione del modello formale-discorsivo di ragione pubblica comporta l’intersezione tra spazio argomentativo e spazio “visivo”, tra discorsività e visibilità, la quale implica non soltanto il rapporto soggetto-oggetto bensì quello tripartito soggetto-soggetto-oggetto, dunque quello tra soggetti. Questa lettura ha immediate conseguenze sul modo di intendere la rappresentanza: se infatti si pensa che spettatore e oggetto siano separabili e coincidano con rappresentato e rappresentante, cancellando del tutto il legame tra diversi spettatori e l’oggetto e con esso quello tra gli spettatori stessi, si produce quel modello di rappresentanza per cui lo spettatore/rappresentato si pone da un punto di vista “esterno” e “disimpegnato” rispetto all’oggetto/rappresentante, che se certo va giudicato, non può esserlo a partire da una radicale deresponsabilizzazione personale: la propria corresponsabilità rispetto alle scelte operate viene altrimenti meno in senso individualistico, in quanto non si considera come il proprio atteggiamento di osservatore-valutatore costituisca – stante il legame tra spettatori – una rappresentazione che altri spettatori osservano e a cui a loro volta reagiscono e così via. Salvare le “buone ragioni” della rappresentanza (di contro peraltro alle letture “rispecchianti” della non-mediazione offerta dalla Rete) significa salvare ciò che va oltre le buone ragioni in senso stretto, recuperando quel processo di co-implicazione e mediazione rappresentato/rappresentante tale per cui la rappresentanza “trasforma” entrambi i poli che mette in relazione. In ultima istanza, tale salvataggio si accompagna alla proposta di un’etica della rappresentanza politica che, non limitandosi a inseguire le correttezza e legittimità procedurali, sappia – in ottica dichiaratamente “ricostruttiva” – “recuperare” le risorse simboliche degli immaginari e costituirsi come laboratorio di mediazioni in grado di definire modalità di identificazione del bene comune e della giustizia nelle attività cooperative proprie delle componenti “civile” e “religiosa” del vivere sociale.
AB - [Ita:]Queste pagine mettono al centro il “teatro pubblico”, in quanto si concentrano non solo – come è consuetudine diffusa in molti dei lavori di filosofica politica contemporanea soprattutto a partire dai fondamentali studi di Habermas – sulla dimensione argomentativa e sullo spazio delle “buone ragioni”, ma anche e soprattutto sulla dimensione più propriamente iconico-rappresentativa della vita pubblica e con ciò proprio sulla sua dimensione teatrale-rappresentativa. L’idea è dunque che le tante critiche a cui è stato ed è sottoposto il concetto di “sfera pubblica” siano da vedere in connessione con l’insufficienza intrinseca di un modello epistemico imperniato sulla validazione normativa che ha troppo presto espunto la questione della “visibilità” pur dovendo fare i conti con uno scenario popolato da narrazioni, leader, slogan e appunto “icone”, ben più di quanto non sia abitato da argomenti e confutazioni. È la questione della rappresentanza a essere fatta esplicitamente giocare con quella della rappresentazione, dell’immagine presentata in particolare (in riferimento all’opera di Szakolczai) lungo il registro del comico e della tematizzazione della sua peculiare performatività pubblica: la performatività-relazionalità dell’immagine si traduce qui nella rappresentazione comica che genera una particolare forma di narrazione sociale, qualificando tanto il rapporto tra soggetti quanto quello tra il singolo soggetto e l’insieme delle rappresentazioni condivise. La correzione del modello formale-discorsivo di ragione pubblica comporta l’intersezione tra spazio argomentativo e spazio “visivo”, tra discorsività e visibilità, la quale implica non soltanto il rapporto soggetto-oggetto bensì quello tripartito soggetto-soggetto-oggetto, dunque quello tra soggetti. Questa lettura ha immediate conseguenze sul modo di intendere la rappresentanza: se infatti si pensa che spettatore e oggetto siano separabili e coincidano con rappresentato e rappresentante, cancellando del tutto il legame tra diversi spettatori e l’oggetto e con esso quello tra gli spettatori stessi, si produce quel modello di rappresentanza per cui lo spettatore/rappresentato si pone da un punto di vista “esterno” e “disimpegnato” rispetto all’oggetto/rappresentante, che se certo va giudicato, non può esserlo a partire da una radicale deresponsabilizzazione personale: la propria corresponsabilità rispetto alle scelte operate viene altrimenti meno in senso individualistico, in quanto non si considera come il proprio atteggiamento di osservatore-valutatore costituisca – stante il legame tra spettatori – una rappresentazione che altri spettatori osservano e a cui a loro volta reagiscono e così via. Salvare le “buone ragioni” della rappresentanza (di contro peraltro alle letture “rispecchianti” della non-mediazione offerta dalla Rete) significa salvare ciò che va oltre le buone ragioni in senso stretto, recuperando quel processo di co-implicazione e mediazione rappresentato/rappresentante tale per cui la rappresentanza “trasforma” entrambi i poli che mette in relazione. In ultima istanza, tale salvataggio si accompagna alla proposta di un’etica della rappresentanza politica che, non limitandosi a inseguire le correttezza e legittimità procedurali, sappia – in ottica dichiaratamente “ricostruttiva” – “recuperare” le risorse simboliche degli immaginari e costituirsi come laboratorio di mediazioni in grado di definire modalità di identificazione del bene comune e della giustizia nelle attività cooperative proprie delle componenti “civile” e “religiosa” del vivere sociale.
KW - Etica pubblica
KW - Imagineries
KW - Immaginari
KW - Political representation
KW - Public Ethics
KW - Rappresentanza
KW - Rappresentazione
KW - Representation
KW - Etica pubblica
KW - Imagineries
KW - Immaginari
KW - Political representation
KW - Public Ethics
KW - Rappresentanza
KW - Rappresentazione
KW - Representation
UR - http://hdl.handle.net/10807/56317
UR - http://www.edizioniets.com/scheda.asp?n=9788846737915
M3 - Chapter
SN - 9788846737915
T3 - BOULÉ. COLLANA DI FILOSOFIA E SCIENZE UMANE
SP - 89
EP - 112
BT - Immagini, immaginari e politica. Orizzonti simbolici del legame sociale
A2 - PEZZANO, GIACOMO
A2 - SISTO, DAVIDE
ER -