Abstract
[Ita:]La sofferenza del minore che non può restare nella sua famiglia è conosciuta da tempo e si è cercato di affrontarla ragionando su come possano essere ridisegnati dei luoghi adatti in cui crescere, quando non è possibile stare con i propri genitori. Si è rischiato però di lasciar sfumare la consapevolezza che, anche riuscendo a chiudere gli istituti e a collocare il minore in affido o in comunità, l’allontanamento genera comunque sofferenza. Tale sofferenza riguarda i familiari (genitori, fratelli, ecc.), che si trovano a dover sospendere la loro vita quotidiana con il minore, e il minore stesso, sia rispetto alle prospettive di riunificazione alla famiglia, sia anche quando fin dall’inizio dell’affido non sia realistico pensare a un rientro, se non nel lungo periodo. Infatti, è soprattutto nei casi in cui sembra ci siano poche possibilità che il figlio ritorni a casa che è importante chiedersi come fare in modo che i genitori non si scoraggino e chiudano ogni contatto. Quando l’approccio degli operatori è quello della partecipazione e della collaborazione il più possibile paritaria (pur all’interno dei confini tracciati dall’eventuale provvedimento giudiziario), allora si può creare un contesto adatto ad ascoltare, ad accogliere le sofferenze e la rabbia dei familiari, a prendere rispettosamente sul serio ogni aspettativa, a ragionarci sopra e a cercare assieme il modo di soddisfarla, o almeno di avvicinarvisi, se appena possibile.
Titolo tradotto del contributo | [Autom. eng. transl.] Preface |
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Lingua originale | Italian |
Titolo della pubblicazione ospite | L’affido partecipato. Come coinvolgere la famiglia d’origine |
Pagine | 7-20 |
Numero di pagine | 14 |
Stato di pubblicazione | Pubblicato - 2014 |
Keywords
- affidamento familiare
- famiglia di origine
- partecipazione
- tutela del minore